Questo ciclo di opere di Francesco Galifi è realizzato “nel segno del paesaggio”, da un lato perché l’autore percorre l’ambiente naturale seguendone rispettosamente il passo, dall’altro perché questo “passo” lo riscrive entro un processo d’astrazione; complessivamente condotto in un percorso di andata e ritorno, di entrata e di uscita: dalla realtà alla visionarietà e viceversa. Si tratta di un processo… capace di traslare all’ennesima potenza la realtà in visionarietà, con un’ immagine che si allontana dalla resa fotografica per catapultarsi in disegno.
Il segno -inteso come traccia atta a riscrivere la realtà- rappresenta dunque il primo termine della poetica di Galifi, che costantemente si misura con un altro aspetto fondamentale della sua ricerca: la dimensione temporale. Un “tempo” inteso nella declinazione meteorologica, come si è visto nella predilezione della stagione invernale; ma che nel modo di porsi del fotografo inanzi al mondo, affiora anche nell’accezione di durata, continuità, mutamento e divenire. Perché nell’epoca del digitale, dal quale attinge lo stesso Galifi, ritrarre la natura implica ancora il principio e la prassi della ricerca e dell’attesa dentro il paesaggio. La temporalità intesa come durata, che affiora in molte immagini, sottolinea l’intenzione tipica del linguaggio fotografico: fermare l’attimo e tradurlo in permanenza. Ma è proprio il sottile limite sviluppato da Galifi tra fenomenologia della natura e astrazione segnica a riconsegnare al paesaggio la sua accezione di tempo mutante, in cui il senso dell’essere si costruisce in divenire.
Sabrina Zannier
Dal Catalogo della Mostra “Il Tempo dei Segni”, Cantina Bepin De Eto, Giugno 2015.